Scarsità di materie prime, prezzi di acquisto elevati e lunghi tempi di attesa: ormai da mesi le difficoltà di consegna, soprattutto presso le aziende industriali svizzere, causano rallentamenti e colli di bottiglia nei processi operativi – e quindi un maggior ricorso al lavoro ridotto. Scoprite nel nostro blog quali sono i vostri diritti e doveri come imprenditori nei confronti di collaboratori, fornitori e clienti.
I contratti devono essere sostanzialmente rispettati, a prescindere dal fatto che siano o meno ancora utili per una parte o siano divenuti addirittura gravosi. Proprio per i contratti a lungo termine, al momento della stipulazione le parti devono preventivare un possibile cambiamento delle condizioni contingenti in un secondo tempo.
A differenza degli ordinamenti giuridici esteri, il Codice delle obbligazioni svizzero non disciplina esplicitamente la fattispecie della forza maggiore. Questo principio è tuttavia riconosciuto nella giurisprudenza ed è contemplato nell’art. 119 CO. Viene generalmente definito come «force majeure» un evento imprevedibile, di natura straordinaria e ineluttabile, non attribuibile alla sfera del rischio e/o alla responsabilità di una parte contrattuale. Le pandemie, ovvero i nuovi agenti patogeni (sono quindi escluse le malattie a insorgenza stagionale) rientrano sostanzialmente in tale novero. In questo contesto, anche le disposizioni delle autorità in risposta alle pandemie vengono considerate come forza maggiore.
Bisogna ricordare che per ogni contratto è necessario verificare appositamente se epidemie o pandemie rientrano in tale sfera di applicazione, poiché di volta in volta il concetto di forza maggiore può avere una diversa definizione.
In determinate circostanze è possibile che singole prestazioni o interi rapporti contrattuali si estinguano in applicazione dell’art. 119 CO. Un caso di impossibilità (oggettiva e soggettiva) si configura ad esempio quando a causa dell’attuale pandemia si verifica un arresto totale della produzione, oppure un pezzo necessario per il funzionamento di un macchinario risulta introvabile per via della rarefazione dell’offerta a livello mondiale. In questi casi il fornitore sarebbe quindi esonerato dall’obbligo di consegna, così come l’acquirente dall’obbligo di pagamento.
Tuttavia un contratto deve essere adeguato in via eccezionale alle mutate circostanze laddove tale cambiamento sia di portata sostanziale (principio della clausola «rebus sic stantibus») Questo istituto giuridico trova applicazione laddove risultino adempiute cumulativamente le seguenti condizioni:
Per diverse forme contrattuali, a seguito della pandemia da coronavirus dovrebbero risultare adempiute le condizioni preliminari per una modifica. L’adeguabilità dei contratti e le relative modalità dipendono comunque dal singolo caso concreto.
Se l’azienda che eroga le prestazioni non è più in grado di adempiere ai propri obblighi mentre invece un concorrente ha ancora questa possibilità, in determinate circostanze troverebbe applicazione il principio della «clausula rebus sic stantibus». Nel caso in questione, se un acquisto alternativo risulta attuabile soltanto con un onere sproporzionato (ad es. a causa di un aumento eccessivo dei prezzi di mercato), può trovare applicazione un adeguamento delle condizioni contrattuali oppure, qualora non sia possibile ovviare alla perturbazione dell’equivalenza, si ha l’esonero del fornitore dall’obbligo di prestazione sulla scorta dell’istituto giuridico della clausola «rebus sic stantibus».
Non sussiste quindi un obbligo generalizzato per quanto concerne la ricerca di fonti di approvvigionamento alternative. Se la consegna diviene impossibile dopo la stipulazione del contratto a causa di circostanze di cui il fornitore non è responsabile né è chiamato a rispondere, potrebbe parimenti trovare applicazione l’art. 119 CO, con un conseguente esonero del fornitore dall’obbligo di prestazione. Ciò si tradurrebbe in ultima analisi nella necessità di passare a fonti di approvvigionamento alternative, anche se ciò comporta costi aggiuntivi.
In linea di principio il committente può richiedere il risarcimento di tutti i danni derivanti dai ritardi di consegna da parte del fornitore. In tale novero rientrano in particolare i deprezzamenti o il mancato guadagno. Il committente è tenuto a fornire l’attestazione delle singole voci di danno. Nei singoli casi di specie, questa dimostrazione può essere molto difficoltosa; di conseguenza potrebbe risultare necessario concedere al fornitore un termine supplementare. Una richiesta di risarcimento danni può essere quindi avanzata soltanto dopo la scadenza di quest’ultimo.
A seconda del caso, sussiste anche il rischio di dover pagare pene convenzionali (penali) se la merce ordinata non viene consegnata puntualmente. Per il fornitore è quindi opportuno disporre di fonti alternative di approvvigionamento e di consegna. Anche se questa via è più complessa e costosa, il principio inderogabile è sempre lo stesso: «pacta sunt servanda».
Se una fonte alternativa di approvvigionamento viene meno, come sempre è determinante la situazione contrattuale individuale, in particolare per quanto riguarda anche la pena convenzionale concretamente convenuta. Innanzitutto è necessario controllarne l’efficacia, e inoltre bisogna acclarare se dal contratto scaturiscono ulteriori elementi utilizzabili per opporsi all’applicazione della clausola sanzionatoria. È altresì necessario verificare con i propri fornitori se la pena convenzionale può essere riversata ulteriormente a monte nella catena di approvvigionamento. Ma si tratta di un’evenienza molto rara.
Se le parti hanno concordato un determinato termine di consegna, il fornitore risulta inadempiente già allo scoccare di tale scadenza, senza la necessità di ulteriori solleciti. Nel momento in cui il ritardo nella consegna è acclarato, in linea di principio deve essere riconosciuto al fornitore un adeguato termine supplementare durante il quale può ancora adempiere ai propri obblighi contrattuali.
Una volta scaduta anche tale proroga, le aziende hanno le seguenti possibilità a loro disposizione:
Al di fuori del quadro giuridico, a breve termine non resta altro che cercare di attivare altre fonti di fornitura o individuare possibilità di sostituzione in modo costruttivo.
Difficoltà di fornitura, chiusure temporanee e calo della domanda: a causa del coronavirus molte imprese sono costrette a richiedere il lavoro ridotto. Come imprenditore lei ha la possibilità di inviare il preannuncio per il lavoro ridotto e richiederlo, sempre che sia in grado di fornire la prova inconfutabile del rapporto tra le assenze dei lavoratori e il coronavirus e soddisfare le condizioni necessarie per usufruire dell’indennità per lavoro ridotto della SECO.
Un riferimento generico al coronavirus non costituisce una prova sufficiente dell’esistenza di tale rapporto. Deve dimostrare in maniera credibile che il calo della domanda e delle commesse è dovuto alla pandemia. Il preannuncio o la richiesta vanno inviati all’ufficio del lavoro del cantone in cui ha sede la sua impresa.
Il diritto all’indennità per lavoro ridotto per i collaboratori impiegati a tempo determinato senza un’opzione di disdetta concordata, gli apprendisti e i collaboratori su chiamata con un grado di occupazione soggetto a forti fluttuazioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato è terminato alla fine di settembre 2021. Il diritto a tale indennità per i suddetti gruppi di persone è stato riattivato dal 20 dicembre 2021 sino al 31 marzo 2022 per le aziende vincolate all’obbligo del 2G+.
Quando si indennizza la perdita di lavoro correlata al coronavirus, bisogna distinguere se la perdita di lavoro è dovuta a misure disposte dalle autorità (come le restrizioni di accesso ai ristoranti) o al calo della domanda a causa dei timori di infezione o dell’obbligo di indossare una mascherina (motivi economici).
Fino alla fine di marzo 2022 le ore supplementari accumulate al di fuori della fase di lavoro ridotto non devono essere compensate prima che venga percepita l’indennità per lavoro ridotto e non comportano una riduzione della perdita di lavoro computabile.
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